Un cambiamento radicale e duraturo nella visione del mondo, nella cultura e nella società, che influisce su molti aspetti della vita umana
Le piattaforme digitali hanno rivoluzionato il modo in cui compriamo, comunichiamo, ci spostiamo e lavoriamo. Un cambiamento profondo e irreversibile che, se non adeguatamente governato, rischia di trasformare il lavoro in una merce istantanea, valutata da algoritmi e sottoposta a logiche impersonali e predittive.
In pochi anni siamo passati dal cronometro della fabbrica fordista, simbolo del controllo del tempo e del movimento, al monitoraggio invisibile e pervasivo dell’intelligenza artificiale, che non solo misura, ma prevede, indirizza, condiziona.
Oggi non è più il tempo a essere misurato, ma ogni scelta, ogni movimento, ogni esitazione. Non si sorveglia più solo il lavoro, ma il lavoratore in quanto tale, trasformando l’essere umano in un dato.
Dal cronometro all’intelligenza artificiale: lavoro, diritti e nuove sfide
Negli ultimi anni, il lavoro è passato da una gestione basata sul tempo, tipica delle catene di montaggio, a una supervisione fondata su dati e algoritmi. Se il cronometro era lo strumento con cui si misurava la produttività oggi sono gli algoritmi e l’intelligenza artificiale a orientare, valutare e spesso sanzionare il comportamento dei lavoratori. Non solo nella logistica o nei servizi, ma anche nei lavori intellettuali e professionali.
Questa trasformazione ha impatti profondi sulla vita professionale e sociale dei lavoratori che può tradursi in precarietà contrattuale, stress da valutazione continua e perdita di autonomia decisionale. Un modello che, se non viene governato, rischia di normalizzare forme di sfruttamento e controllo invisibili ma onnipresenti.
Il controllo pervasivo esercitato dagli algoritmi genera nei lavoratori una pressione costante: l’obiettivo non è solo eseguire un compito, ma ottimizzarlo in funzione di parametri sconosciuti al lavoratore.. Questo produce una tensione che può sfociare in ansia, senso di inadeguatezza, burnout. La dimensione relazionale del lavoro si impoverisce, perché l’interlocutore umano viene sostituito da un sistema impersonale.
Il lavoratore isolato, sotto costante sorveglianza, è meno propenso a socializzare, organizzarsi, rivendicare diritti. Viene meno la solidarietà tra colleghi, e con essa la possibilità di costruire una cultura condivisa del lavoro.
Una nuova cultura dei diritti.
In questo contesto serve una nuova cultura dei diritti digitali nel lavoro. Non basta introdurre nuove norme: bisogna costruire consapevolezza, strumenti collettivi, formazione. I lavoratori devono poter conoscere i criteri con cui vengono valutati, contestare decisioni automatizzate, esigere trasparenza. Serve una Carta dei Diritti del Lavoro Digitale che tuteli la dignità, la salute e l’autonomia delle persone.
La digitalizzazione non deve diventare una nuova forma di dominio, ma un’occasione per migliorare la qualità del lavoro. Per questo è fondamentale che le imprese adottino principi di etica algoritmica, e che le istituzioni promuovano un uso responsabile della tecnologia.
Il lavoro del futuro sarà sempre più frammentato, tecnologico, fluido. Ma non può essere disumanizzato. La digitalizzazione va governata, non subita. È necessario ribaltare la logica della competizione al ribasso, ricostruire spazi di solidarietà, promuovere forme nuove di rappresentanza collettiva, anche per chi lavora da solo davanti a uno schermo o sulle strade delle nostre città o nelle campagne..
Il futuro del lavoro non è scritto. Spetta a noi, insieme, costruirlo.
Labor crede che il futuro del lavoro debba essere costruito attorno alla persona, non all’algoritmo. Per questo continueremo a lottare per nuovi diritti, per una vera equità digitale, per un’innovazione che non sacrifichi la giustizia sociale.
Se sei un lavoratore o una lavoratrice o se temi che il tuo lavoro stia cambiando senza che nessuno ti chieda come, contattaci. Unisciti a noi. Insieme possiamo far valere la nostra voce.
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